I no che aiutano a crescere

Vi proopongo una bella riflessione trovata nella rete. L’autore è uno psicologo.

Dopo la discussione durante il laboratorio, scrivete i vostri pensieri a commento del presente post.

Le trasformazioni culturali che hanno segnato la società occidentale negli ultimi 60 anni hanno portato con sé significativi cambiamenti anche nelle dinamiche presenti in famiglia. In passato non vi era dubbio su chi “portasse i pantaloni” ovvero chi comandasse e detenesse il potere educativo: il padre.
Vi era una gerarchia ai cui vertici stavano i genitori, talvolta alcuni nonni e ai “piani inferiori” i figli. Si trattava talvolta di schemi rigidi, scarsamente negoziabili, restii a novità che comportassero la messa in discussione dei ruoli.

Oggi non siamo più sicuri di poter sostenere questa tesi. I ruoli e le gerarchie non solo si son fatte più flessibili ma talvolta addirittura liquide o ribaltate. È sotto gli occhi di tutti il potere che i figli hanno conquistato negli ultimi tempi. Conquiste civili per lo più ma che hanno portato con sé anche degli effetti collaterali.

Accade sempre più di osservare dinamiche familiari in cui bimbi e adolescenti dominano le scene della quotidianità domestica. Figli sempre più insofferenti nei riguardi dei genitori o degli agenti educativi (ad esempio la scuola) e dei loro incipit pedagogici. Genitori in balìa delle richieste economiche dei figli o incapaci di porre limiti agli slanci di autonomia dei ragazzi neo-adolescenti. Genitori sofferenti all’idea di vedere frustrato il figlio da un proprio incipit educativo. Genitori confusi e figli apparentemente dominatori ma forse altrettanto confusi.

Volendo individuare alcuni fattori che favoriscano e mantengano queste problematiche si può affermare che vi sia una lacuna nel ruolo di timoniere da parte dei genitori. È come se essi avessero smarrito la bussola che porta alla emancipazione del ragazzo verso il traguardo del divenire adulto. Non sanno che pesci pigliare, sembra che la funzione educativa abbia perso di prospettiva schiacciandosi su scelte aventi valenza nel breve ma non sul lungo termine. Vi è stato un passaggio dalla autorità educativa alla dittatura filiale, da una verticalità eccessiva dei ruoli ad un appiattimento in cui più che di genitori e figli si potrebbe parlare di compagni o amici.

Cosa comporta in termini pratici questa situazione? Beh, sicuramente possiamo ritrovarci in situazioni caotiche con genitori letteralmente sopraffatti da bambini prima, adolescenti e adulti dopo. I fatti di cronaca iniziano a raccontare di genitori talvolta malmenati dai propri figli le cui richieste sono nei fatti passate dalle caramelle, ai giocattoli, alle console, ai cellulari, ai computer, ai motorini, ai vestiti griffati, alle macchine, a uscite senza orari di rientro, in un turbinio di richieste impossibilitate ad esaurirsi. Casi estremi sicuramente ma esemplificativi nel restituirci l’attuale quadro di una certa realtà educativa.

Anche l’esperienza clinica racconta di adulti aggressivi nei confronti dei genitori nonostante questi si siano sempre prodigati nel soddisfare qualsivoglia richiesta filiale.

A tal proposito, vorrei raccontare la storia di Sergio: figlio unico, adolescente, era divenuto il tiranno incontrastato della casa. Avanzava richieste economiche sempre maggiori. Perennemente insoddisfatto, chiedeva ai genitori il gadget di moda in quel momento nonostante il denaro in casa scarseggiasse. I genitori nonostante le forti litigate col ragazzo cedevano stremati alle richieste del figlio. Una volta ottenuto quanto preteso, Sergio non appariva poi troppo soddisfatto. Passato qualche giorno ventilava l’idea di rivendere il gadget per comprarsene un altro. Riproponeva allora una nuova escalation di pretese che dopo nuovi litigi portava all’acquisto di un nuovo oggetto. Questa dinamica accompagnava le vicende familiari da diversi anni. Nata con la richiesta di alcuni giocattoli si era trasformata progressivamente in un crescendo di richieste sempre più esose.

Per comprendere meglio cosa avesse potuto favorire e mantenere tale situazione bisogna volgere uno sguardo ai vissuti che accompagnavano i genitori nelle scelte educative. Il papà di Sergio, orfano da bambino, proveniva da una istituzionalizzazione molto dura fatta di vissuti di deprivazione significativi.

Con la nascita del figlio si ripromette di non fargli rivivere quanto occorsogli. Decide di tutelare il figlio da qualsiasi minaccia o sofferenza. Ad esempio, quando passa l’autoambulanza a sirene spiegate tappa le orecchie al figlioletto. Vuole che Sergio abbia soddisfazioni che lui non ha avuto. La mamma possiede un background culturale in cui la povertà viene esorcizzata con una siluette corpulenta e il possesso di gadget tecnologici o capi firmati.

Date queste premesse si è venuta a creare una dinamica in cui era importante soddisfare le richieste del figlio, vuoi perché lo si voleva tutelare dalla sofferenza vuoi perché in fondo un capriccio per un capo firmato non era poi così incomprensibile. Quando poi le richieste hanno assunto un carattere via via simil-estorsivo i genitori hanno cercato di rimediare ma i limiti che cercavano di porre si scontravano inconsapevolmente con i propri vissuti personali.

Ma perché le richieste seppur esaudite non generavano nel ragazzo soddisfazione e quiete? Io credo che una siffatta dinamica in cui a richiesta seguiva immediata soddisfazione, priva di criticismo circa la reale utilità o necessità del bene richiesto, abbia impedito al ragazzo di sviluppare delle abilità di autoregolazione interna.

Alla stragrande maggioranza di noi sarà capitato che quando eravamo piccoli e avanzavamo una richiesta i nostri genitori ci rimandavano alla letterina di babbo natale o al prossimo compleanno. Ci richiedevano inoltre di fare i buoni o ottenere dei risultati scolastici dignitosi quale condizione per poter esaudire la nostra richiesta. La cosa interessante è che il tempo trascorso tra la richiesta del giocattolo e il suo ricevimento era fatta di fantasie e immagini in cui eravamo immersi nel gioco con l’agognato bene.
Accadeva che investissimo l’oggetto di desiderio e valore, aumentato anche dalla fatica di dover fare gli ubbidienti o i bravi a scuola per poterlo “meritare“. Arrivato il momento dell’apertura del dono, l’emozione era forte. Lo tenevamo stretto a noi, ne eravamo bonariamente gelosi.
Il fattore tempo era importante affinché sviluppassimo una rappresentazione mentale di ciò che effettivamente desideravamo o meno. Accadeva talvolta di capire che non era un certo oggetto ma un altro ciò che in realtà ci interessava.

Ciò accadeva perché avevamo il tempo di rappresentarcene mentalmente l’utilità o meno del gioco. Imparavamo a capire ciò che era desiderato perché figlio dell’impulso momentaneo e ciò che effettivamente faceva al caso nostro.
Sapevamo inoltre che i nostri genitori avrebbero realizzato un nostro particolare desiderio ma sicuramente non tutti quelli che ci passavano per la testa. Avevamo un senso del limite che in Sergio non vi era perché non “allenato“. Avevamo un desiderio ma non un bisogno. Sergio avvertiva tutto ciò quale bisogno da colmare, e infatti una volta ottenuto il bene non si sentiva soddisfatto. Il desiderio arricchisce, il bisogno colma.

Ritornando alla condotta educativa adottata dai genitori di Sergio si nota come essa fosse fondamentalmente improntata all’evitare disagio emotivo al proprio figlio. Modalità forse vincente in prima battuta ma che peccava di lungimiranza. Mancava il “No” quale strumento che pone limiti rispetto alle pretese del figlio o che ribadiscono la “gerarchia familiare“. Sergio affermava con spensieratezza la consapevolezza di essere lui a comandare in casa.

Se vogliamo accennare ad uno dei principali cambiamenti nello stile educativo genitoriale odierno esso ha a che fare con l’impiego del “No. Il timore di vedere il proprio figlio piangere per una decisione che contrasta i suoi desideri manda in confusione l’adulto. Accade che i genitori confessino il timore di veder diminuito l’amore del proprio figlio a seguito di decisioni ferme. Ciò li spinge a rimodulare le loro posizioni in termini permissivi.

Chi scrive non è a favore di metodi detti “da caserma“. Credo piuttosto che uno stile autorevole riesca a racchiudere in sé i pregi dello stile permissivo e di quello autoritario: apertura al dialogo ma con la consapevolezza di rivestire un ruolo educativo che non deve scadere nel “genitore-amico. Sono per primi i ragazzi a richiedere una “guida“. Tale funzione la si assolve mantenendo certi ruoli saldi e le orecchie aperte all’ascolto attivo delle opinioni del proprio figlio.

A tal proposito, rimando alla preziosa lettura dei libri di Strocchi e Phillips indicati a fondo del presente articolo. Con linguaggio chiaro e ricco di esempi ripercorrono e approfondiscono alcuni dei punti toccati in questo brano.
I ragazzi stessi sono continuamente alla ricerca di “limiti” alle proprie azioni. Gli servono per capire fin dove si possono spingere per perseguire i propri obiettivi e dove fermarsi. Tale acquisizione passa oggi attraverso il rapporto educativo con i genitori, domani attraverso un processo di autoregolazione. In tal senso i genitori rappresentano una palestra educativa dove apprendere il ruolo da adulto del domani!

In virtù di questa ultima considerazione appare evidente l’importanza di rivestire un ruolo chiaro, solido, coerente per il benessere del proprio figlio. Un figlio che avanza richieste continue è un figlio che per primo non è in piena armonia con sé stesso ed è un figlio che richiede la decisa presenza dei propri genitori.

Un “no” che sia ragionevole, chiaro e che sia accompagnato da coerenza e lungimiranza educativa ripaga alla lunga di quei momenti in cui il pianto del proprio ragazzo o le male parole che lo accompagnano ci feriscono e ci chiudono lo stomaco.
Quante volte ripercorrendo la nostra infanzia ripensiamo alle scelte educative che i nostri genitori prendevano per noi e ai pianti e alle arrabbiature che ne conseguivano? Quante volte a questo ricordo si accompagna: “ora capisco perché lo facevano e li ringrazio per questo!“?

Pubblicato da ilblogdeigenitoriefficaci

Tutor Modulo Genitori Pon 2012 -Gimigliano-Cicala

11 pensieri riguardo “I no che aiutano a crescere

  1. E PUR VERO CHE I NO, AIUTANO AIUTANO A CRESCERE.E IO SON CRESCIUTA CON TANTI NO ,ANCE SE NON VORREI FARE GLI STESSI ERRORI , IO E MIO MARITO CI RITROVIAMO SPESSISSIMO A DIRE NO, PER IL BENE DEI FIGLI E IO POSSO BEN DIRE GRAZIE AI MIEI GENITORI PER I LORO (NO) DI ALLORA,CHE MI HANNO FATTO CAPIRE TANTO

  2. io a sei anni ho comprato una bici a mio figlio e lui non ha capito il significato. io al suo posto sarei stata al settimo cielo per un qualcosa che desideravo ardentemente.

  3. Mi rendo conto che fare i genitori è il “mestiere” più difficile che ci possa essere….lo diventa ancora di più quando nella propria vita si è assistiti a troppi no!! NO,a volte banali,e il più delle volte senza una spiegazione coerente.Da genitore ho imparato ad ascoltare i miei figli e i NOSTRI NO sono sempre giustificati e comprensibili agli occhi dei bambini.

  4. secondo me non sono importanti quanti “no” o quanti “si” si dicono ai nostri figli ma soprattuto e’ importante regolarsi quando bisogna dire “si” e quando “no”…….e’ certo che in passato erano di più’ i no mentre adesso sono di piu’ i si

  5. Innanzitutto vorrei dire che a volte non dobbiamo leggere ed immedesimarci subito in ciò che leggiamo altrimenti rischiamo di perdere la lucidità dell’analisi. Detto ciò, credo che attualmente sia sicuramente frequente la situazione descritta nel testo ma che anche in passato per altri versi vi erano situazioni educative altrettanto sbilanciate. Leggendo delle innumerevoli concessioni fatte a Sergio dai suoi genitori ho subito ricordato di una mamma, di qualche generazione precedente a me, che addirittura comprava la droga al figlio ricoverato in una clinica psichiatrica! Credo che il problema dei genitori attuali sia una errara comunicazione tra di loro e con i propri figli. Per cui si confonde l’autoritarismo con l’autorevolezza, una comunicazione aperta con i figli con l’essere loro amici, il desiderio di rendere loro una vita più agevole della propria con l’incapacità di comprendere ciò che serve loro per una crescita sana ed equilibrata. Sono pienamente d’accordo con chio scrive nel dire che l’esaudire subito i desideri dei figli impediscono loro di desiderare veramente qualcosa e di utilizzare e formare nella loro mente una funzione psichica importantissima che è la rappresentazione. Inoltre tutto ciò li abitua ad utilizzare scorciatoie per ottenere qualsiasi cosa, anche il piacere, la sensazione di benessere. Ciò è una delle condizioni alla base delle tossicodipendenze.

  6. I no aiutano, non piacciono ne a grandi ne a piccoli, ma sono indispensabili per la crescita individuale e collettiva dei nostri ragazzi.

  7. Il dialogo è alla base del rapporto genitori-figli…credo che non sia importante quanti si e quanti no si dicano ai propri figli, ma spiegare loro il perchè di un si o di un no!

  8. l’eccesso non va mai bene,in tutti i campi. Nella società di oggi,dire troppi no rischi di far emarginare i ragazzi,dire troppi si rischia di viziarli troppo.

  9. e dei si cosa ne pensate? sono aasolutamente vietati o in modo calibrato vanno anche detti? Parlo dei si, naturalmente, che non sono delle concessioni date senza convinzione e snza un obiettivo da raggiungere ma di quelli dati nella piena consapevolezza del loro valore.

    1. Ma certo che i si vanno detti!!!! Bisogna stare attenti a non esagerare con le concessioni ma i “si” servono a far crescere l’autostima dei nostri figli: io ho fatto bene quella determinata cosa e mamma/papà mia hanno premiato!

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