“La famiglia è come un’orchestra”: intervista a Vittorino Andreoli

 

Ritratto della famiglia italiana
 Famiglia/Famiglie
Leggere la famiglia
Intervista ad Annamaria Bernardini De Pace

Vittorino Andreoli è davvero uno dei più conosciuti “studiosi della mente” italiani, noto anche al grande pubblico perché spesso interpellato da giornalisti e cronisti per approfondimenti su qualche evento criminoso o su qualche inspiegabile gesto nato dalla follia degli esseri umani. Nato a Verona, dopo la laurea in medicina ha proseguito le sue ricerche in Inghilterra e negli Stati Uniti. La mente dell’uomo, la sua follia sono al centro dei suoi studi e dei suoi interessi. Oggi è Direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona – Soave. È membro della The New York Academy of Sciences e Presidente della Section Committee on Psychopathology of Expression della World Psychiatric Association.
Ed ecco le sue autorevoli riflessioni sulla famiglia e il suo attuale malessere.

Il suo ultimo libro La vita digitale contiene un capitolo che riguarda i “legami umani”. Questi legami umani iniziano in famiglia: come si possono realizzare dei rapporti che permettano a un figlio di crescere e di avere quella autonomia indispensabile per vivere?

I legami che aiutano a crescere sono quelli affettivi ed è l’affettività che racchiude tutto il mondo dei sentimenti e riguarda proprio la capacità che una persona ha di stabilire i legami con un’altra, in questo caso la madre con il proprio figlio, e viceversa. Il legame è un qualcosa che si scambia, non è a una direzione sola: la madre trasferisce affetto al figlio che se ne sente attratto e lo ricambia e viceversa. Questa è una condizione prioritaria, un legame che precede anche i contenuti. Perché gli affetti e i sentimenti sono già di per sé dei messaggi molto ricchi. Per esempio servono a dare sicurezza, a vincere la paura e questa è anche una condizione indispensabile per poter apprendere.

L’uso di internet, del computer e del telefonino che effetto può avere nella maturazione ed evoluzione, nella crescita psicologica e intellettuale dei bambini e dei ragazzi?

Con un computer o con un telefonino di ultima generazione che è anche tv mobile e internet, che serve per fare cinematografia ed è un terminale che oggi riassume molte funzioni che prima erano separate, anche se così ricco, con il telefonino non si stabiliscono legami affettivi. Anche il telefonino che abbia la televisione o internet  può dare delle emozioni, non dà invece dei sentimenti.
A questo punto vorrei fare brevemente una importante distinzione. L’emozione è una risposta acuta che si dà ad uno stimolo: se vedo una macchia di sangue ho una reazione che persiste fino a quando quello stimolo c’è. E quindi l’emozione è una reazione acuta. Il sentimento invece è un legame che ha bisogno di essere prima attivato, poi continuato: è insomma una funzione che si arricchisce e che muta con il tempo. La vita digitale, cioè l’insieme delle relazioni e dei rapporti che si possono avere con le tecnologie informatiche possono dare emozioni ma non stabiliscono i sentimenti che sono propri della vita umana. Ecco: la prima distinzione quindi è che un bambino davanti a internet potrà avere degli stimoli, delle curiosità, può essere più informato, apprendere delle nozioni, ma certamente non potrà mai ricavarne dei benefici che sono invece propri dei legami affettivi.

Il telefonino è spesso utilizzato dai genitori anche come strumento di controllo. Questa necessità del controllo, secondo lei, deve essere prioritaria nel genitore o sono altri gli elementi della relazione parentale?

Questa funzione, cioè il controllo del proprio figlio, ha un significato diverso a seconda della età: è chiaro che se un bambino ha un anno e una madre non lo controlla, è una madre poco attenta, che non fa bene il suo mestiere…

E nell’adolescente?

Nel caso dell’adolescenza il controllo non è molto utile perché diventa repressivo, è uno stimolo per il figlio a voler dimostrare che riesce a fare quello che vuole.
L’adolescenza è un periodo della vita di metamorfosi: ci si trova davanti a una persona che deve lasciare il mondo dell’infanzia e cercare di trovare un’identità. Tutto sta cambiando in lui: cambia il corpo, cambia la personalità, si sente insicuro, non gli piace più nulla di quello che è il passato, nemmeno il padre o la madre… In questo periodo bisognerebbe che i genitori non facessero i gendarmi, ma potessero fare quei controlli che ritengono utili non a senso unico, ma proprio attraverso quei legami di cui abbiamo parlato, attraverso l’affettività. Dovrebbero spiegare le loro esigenze così: “desidero che tu venga a casa prima di mezzanotte (o all’ora che si stabilisce) perché dopo io sto male, sono in ansia… io, madre, penso che ti siano successe cose tremende”. Non serve fare il gendarme, il poliziotto, serve riuscire a comunicare, comunicando anche le ansie materne.

La famiglia è stata giudicata in vario modo nel corso degli ultimi anni, demonizzata o santificata. Lei come la definirebbe?

Ho scritto Lettera alla tua famiglia, e sottolineo “tua” perché ogni famiglia ha delle caratteristiche a sé. La famiglia è un gruppo di persone che abitano in uno stesso luogo. Un gruppo non casuale, perché legato a dei progetti, con dei contratti che sono di tipo amministrativo o di tipo religioso o di altro tipo. È un gruppo e far funzionare un gruppo è come far suonare una piccola orchestra, un trio d’archi, un quartetto… Si deve guardare non al risultato del singolo, del padre, del figlio o della madre, ma dell’insieme che deve essere ben affiatato e per capire se funziona lo si sente: dall’orchestra esce buona musica e per buona musica in questo caso si intende la serenità. Questo risultato dovrebbe essere una cosa che il gruppo difende. 
Però, come ogni gruppo, potrebbe non funzionare affatto e basta che si perda la visione dell’insieme e invece ci sia un padre che abbia bisogno di affermare la sua supremazia, una madre la propria autorità e un figlio magari la voglia di essere contro entrambi che allora la famiglia diventa un gruppo stonato. E questo anche se, presi singolarmente, i vari membri sembrano a posto, sono dei solisti buoni, ma la musica d’insieme è terribile. La famiglia non va definita in termini assoluti: la famiglia è la salvezza, la famiglia è la dannazione. La famiglia semplicemente può funzionare o no. Bisogna valutare bene quali sono i criteri perché quel gruppo possa dare il meglio. Ci sono delle situazioni in cui dà sicurezza e serenità, soprattutto in una società che è complessa e che crea molti problemi. Insomma può diventare un nido, secondo l’allegoria romantica, ma anche un ring dove la gente si fa del male. 

Tante delle violenze subite dalle donne avvengono all’interno della famiglia. Questo è un dato preoccupante. Perché la famiglia, il marito, il compagno, il padre si trasformano a un certo punto nell’orco?

C’è un punto molto chiaro. Quando uno entra in famiglia (il marito, ma anche i figli, perché ci sono figli violenti, o la madre), è come se non attivasse più i freni inibitori. Nella società e sul posto di lavoro bisogna mantenere un certo decoro, anche nell’abbigliamento, non si possono dire certe parole in pubblico, al superiore o al capo non si può esprimere tutto quello che si pensa, insomma la nostra vita è un continuo attivare dei freni inibitori: “questo vorrei farlo, ma non lo faccio…” 
Quando si arriva a casa invece si ritiene che in quell’ambiente non si debbano più usare tali freni, e si crede che lì sia possibile tutto. E si incomincia ad esempio dal rito che appena entrati in casa ci si va a togliere il vestito che si portava perché lì non è necessario, ci si toglie la cravatta, le scarpe… e in questo gesto ci si toglie anche ogni formalità, ogni controllo. Quindi la casa diventa il luogo in cui si riversano e si liberano tutte le frustrazioni e tutta la violenza che magari si è accumulata fuori. Qui si pensa che sia possibile sfogare tutto e rappresenta quasi un diritto alla liberazione. Questo per quanto riguarda l’atmosfera generale. 
Per quanto riguarda le donne so che non vogliono sentire consigli dagli uomini, so che cos’è stato il femminismo perché ne sono stato un testimone, e forse sarebbe meglio che tacessi, ma penso che invece sia necessario dire qualcosa. Devo dire che bisognerebbe che tutte le donne di fronte al primo atto di violenza, al primo!, non lo accettino, perché se si tollera il primo è finita: devono andare a denunciare la cosa, si può andare dai carabinieri o aprire la finestra e urlare, dire: Vergognati di fronte a tutti perché mi hai picchiato! 
Questa non è solo una difesa della donna, ma anche l’unica maniera per impedire che quell’uomo diventi una bestia. Quello che a me pare invece è che nelle donne oggi non sia più così attiva la voglia di difendere la propria dignità e lo vedo ad esempio per come è tornato il corpo femminile ad essere banalizzato o strumentalizzato in televisione e nella pubblicità. Recentemente si è letto di una donna che vuole diventare senatrice in un paese europeo e offre prestazioni sessuali per avere voti…Dov’è la donna dei diritti? Sono molto preoccupato, mi sembra che la donna stia ridiventando ancora più un oggetto.

Perché in Italia si fanno pochi figli e quando se ne fanno li si tengono in casa oltre i trent’anni?

Il problema delle nascite: oggi c’è una grande paura del figlio. È stata proprio una cultura che, a partire da noi psichiatri, psicologi, psico qualcosa, ha spaventato: e c’è il trauma del  parto, e c’è il problema se veramente nasce poi nella perfetta capacità fisica e mentale, e poi chissà se una sa fare la mamma che è difficilissimo, e poi i figli fanno paura e poi non c’è lavoro… insomma abbiamo creato una condizione drammatica che in parte è vera perché bisognerebbe dare un vero aiuto alle famiglie. Nella mia famiglia ci sono stati degli insegnanti e se penso che gli insegnanti oggi fanno parte della classe dei nuovi poveri, resto allibito. Com’è possibile che anche persone che vorrebbero aver figli mettano al mondo dei bambini che poi non sono aiutati ad allevare? Però al di là di una condizione reale c’è proprio spavento. Si pensi alla gravidanza: esistono almeno centoventi test da fare in gravidanza per dimostrare che la madre sta bene e che il bambino è sano. Non è più considerata una straordinaria esperienza, un’avventura, ma una grave malattia.

E perché poi i ragazzi non escono più di casa? È colpa delle madri?
Non è questo il punto. Il primo elemento riguarda il protagonismo del mondo dei ragazzi, dei giovani. La nostra è una società che fa fatica a passare il testimone e allora spesso il padre preferisce mantenere fino a tarda età il proprio ruolo non dandolo al figlio. Naturalmente quello che avviene in una casa, avviene anche nella società. Non si rendono conto della sciocchezza di voler spostare sempre più in là l’età per andare a riposo: questo vuol dire che i giovani entrano sempre più tardi nel mondo del lavoro e non è possibile non creare posti di lavoro per i giovani. E poi la manodopera giovanile costa pochissimo: ci sono dei ragazzi laureati che vanno a lavorare per 5 o 6 euro all’ora! C’è un vero sfruttamento del giovane. E questo che cosa significa? Significa semplicemente questo: la nostra è una società che non crede al protagonismo dei giovani, una società vecchia, una società orrenda che pensa che i giovani debbano essere tenuti in casa a non far niente per permettere ai padri di continuare a fare i protagonisti anche quando sono rimbecilliti.

Due parole di consolazione e di stimolo ai ragazzi che non osano  uscire di casa.

Ci sono dei ragazzi che a trent’anni sono degli adolescenti che non hanno mai guadagnato, che vivono ancora della mancia domenicale, che usano ancora la macchina del papà e che, se cercano un appartamento non lo trovano, e allora meglio stare a casa con i genitori. Per quanto non sia piacevole è infinitamente meglio di quella che uno sarebbe in grado di trovare. E quindi non sono i giovani che vorrebbero andare fuori e le madri non li lasciano andare: si è creata una situazione per cui la famiglia d’origine è diventato un carcere dorato, perché per fortuna le case dei genitori sono per lo più gradevoli, il 75% sono di proprietà e quindi le si curano.  Sono accoglienti e belle e l’alternativa è andare a trovare da qualche parte un buco che costa comunque molto. Poi ci sono anche le patologie, c’è il mammismo, c’è chi non si sa staccare dalla madre, però questa è patologia e quindi sono casi che vanno curati, ma il clima generale è appunto quello di una società che non crede assolutamente nel protagonismo dei giovani e questa è una vergogna.

Si parla tanto di famiglia in questo periodo.

Sì ma è una specie di orazione che cade nel nulla. La famiglia di per sé non è né un gran bene né un gran male, dipende da come funziona e da come la si aiuta perché nell’insieme possa creare quella piccola orchestra di cui si parlava. 

Pubblicato da ilblogdeigenitoriefficaci

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