La scuola dei genitori

Salve a tutti, inserisco il link di una utilissima risorsa che ho trovato in rete. 

http://www.lascuoladeigenitori.it/

E’ un corso di formazione online per mamme e papà,curato dalla dr.ssa Maria Grazia Vallorani, psicologa e psicoterapeuta che da anni promuove progetti di prevenzione nelle Scuole dell’infanzia, primarie e secondarie.

Il corso, caratterizzato da una serie di video dedicati ad argomenti specifici, intende aiutare i genitori a comprendere le dinamiche più profonde che determinano i comportamenti e la personalità dei loro figli e dunque aiutarli ad acquisire sicurezza, efficacia e stabilità nel loro intervento educativo.

La modalità comunicativa è volutamente semplice ed efficace, con ampio ricorso ad immagini, disegni ed esempi concreti, basata sulla psicologia clinica e sulla psicologia analitica.

 

 

Il video finale

A conclusione del Modulo che vi ha visti impegnati per 60 ore, pubblico il video finale che sintetizza la vostra esperienza. Grazie per il racconto, chiaro e semplice, di tutto ciò che è stato realizzato durante il  corso, per l’impegno, l’entusiasmo, la frequenza assidua e la partecipazione attiva che avete avuto.

La vostra tutor

Michelina Sirianni

Siamo a metà percorso

Ben ritrovati.

Oggi concludiamo le attività previste per il laboratorio dei Genitori.

Personalmente posso dichiarare tutta la mia soddisfazione per come siete stati assidui e partecipi, disponibili ad ascoltare e ad ascoltarvi, desiderosi di modificare o di migliorare il rapporto con i figli e soprattutto di capire quali strategie usare per farli crescere sereni e felici.

Mi è piaciuta anche l’umiltà che avete mostrato nel mettervi in gioco, di rivedere il vostro operato fino ad adesso e di parlare tra di noi anche delle dificoltà che spesso incontriamo in questo difficile ma entusiamante impegno come genitori.

Vi ringrazio perchè mi avete fatto sentire a mio agio: vi confesso che avevo un pò di timore ad intraprendere questa avventura insieme a voi, ma siccome mi piace moltissimo accettare le sfide , ora  mi sento molto più ricca di quando abbiamo iniziato.

Il corso continuerà come sapete per tutta la prossima settimana con il Dott. Costanzo e per altri  due incontri presumibilmente nella prima settimana di giugno.

La vostra tutor

Lavori di gruppo

 

Ben ritrovati tutti!

Dopo la breve pausa, eccoci di nuovo pronti per continuare con il nostro, spero interessante, corso. Oggi pomeriggio e per le prossime lezioni previste per il “Laboratorio Genitori”, incomincerete a lavorare in gruppo e sperimenterete una delle metodologie più efficaci per imparare e cioè “l’apprendimento collaborativo”. L’obiettivo è quello di farvi interagire e di suscitare il confronto su quanto appreso finora. Faremo poi una sintesi dei vostri lavori di gruppo realizzando un video che sarà il prodotto finale e che considereremo come attività di verifica. Buon lavoro

“La famiglia è come un’orchestra”: intervista a Vittorino Andreoli

 

Ritratto della famiglia italiana
 Famiglia/Famiglie
Leggere la famiglia
Intervista ad Annamaria Bernardini De Pace

Vittorino Andreoli è davvero uno dei più conosciuti “studiosi della mente” italiani, noto anche al grande pubblico perché spesso interpellato da giornalisti e cronisti per approfondimenti su qualche evento criminoso o su qualche inspiegabile gesto nato dalla follia degli esseri umani. Nato a Verona, dopo la laurea in medicina ha proseguito le sue ricerche in Inghilterra e negli Stati Uniti. La mente dell’uomo, la sua follia sono al centro dei suoi studi e dei suoi interessi. Oggi è Direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona – Soave. È membro della The New York Academy of Sciences e Presidente della Section Committee on Psychopathology of Expression della World Psychiatric Association.
Ed ecco le sue autorevoli riflessioni sulla famiglia e il suo attuale malessere.

Il suo ultimo libro La vita digitale contiene un capitolo che riguarda i “legami umani”. Questi legami umani iniziano in famiglia: come si possono realizzare dei rapporti che permettano a un figlio di crescere e di avere quella autonomia indispensabile per vivere?

I legami che aiutano a crescere sono quelli affettivi ed è l’affettività che racchiude tutto il mondo dei sentimenti e riguarda proprio la capacità che una persona ha di stabilire i legami con un’altra, in questo caso la madre con il proprio figlio, e viceversa. Il legame è un qualcosa che si scambia, non è a una direzione sola: la madre trasferisce affetto al figlio che se ne sente attratto e lo ricambia e viceversa. Questa è una condizione prioritaria, un legame che precede anche i contenuti. Perché gli affetti e i sentimenti sono già di per sé dei messaggi molto ricchi. Per esempio servono a dare sicurezza, a vincere la paura e questa è anche una condizione indispensabile per poter apprendere.

L’uso di internet, del computer e del telefonino che effetto può avere nella maturazione ed evoluzione, nella crescita psicologica e intellettuale dei bambini e dei ragazzi?

Con un computer o con un telefonino di ultima generazione che è anche tv mobile e internet, che serve per fare cinematografia ed è un terminale che oggi riassume molte funzioni che prima erano separate, anche se così ricco, con il telefonino non si stabiliscono legami affettivi. Anche il telefonino che abbia la televisione o internet  può dare delle emozioni, non dà invece dei sentimenti.
A questo punto vorrei fare brevemente una importante distinzione. L’emozione è una risposta acuta che si dà ad uno stimolo: se vedo una macchia di sangue ho una reazione che persiste fino a quando quello stimolo c’è. E quindi l’emozione è una reazione acuta. Il sentimento invece è un legame che ha bisogno di essere prima attivato, poi continuato: è insomma una funzione che si arricchisce e che muta con il tempo. La vita digitale, cioè l’insieme delle relazioni e dei rapporti che si possono avere con le tecnologie informatiche possono dare emozioni ma non stabiliscono i sentimenti che sono propri della vita umana. Ecco: la prima distinzione quindi è che un bambino davanti a internet potrà avere degli stimoli, delle curiosità, può essere più informato, apprendere delle nozioni, ma certamente non potrà mai ricavarne dei benefici che sono invece propri dei legami affettivi.

Il telefonino è spesso utilizzato dai genitori anche come strumento di controllo. Questa necessità del controllo, secondo lei, deve essere prioritaria nel genitore o sono altri gli elementi della relazione parentale?

Questa funzione, cioè il controllo del proprio figlio, ha un significato diverso a seconda della età: è chiaro che se un bambino ha un anno e una madre non lo controlla, è una madre poco attenta, che non fa bene il suo mestiere…

E nell’adolescente?

Nel caso dell’adolescenza il controllo non è molto utile perché diventa repressivo, è uno stimolo per il figlio a voler dimostrare che riesce a fare quello che vuole.
L’adolescenza è un periodo della vita di metamorfosi: ci si trova davanti a una persona che deve lasciare il mondo dell’infanzia e cercare di trovare un’identità. Tutto sta cambiando in lui: cambia il corpo, cambia la personalità, si sente insicuro, non gli piace più nulla di quello che è il passato, nemmeno il padre o la madre… In questo periodo bisognerebbe che i genitori non facessero i gendarmi, ma potessero fare quei controlli che ritengono utili non a senso unico, ma proprio attraverso quei legami di cui abbiamo parlato, attraverso l’affettività. Dovrebbero spiegare le loro esigenze così: “desidero che tu venga a casa prima di mezzanotte (o all’ora che si stabilisce) perché dopo io sto male, sono in ansia… io, madre, penso che ti siano successe cose tremende”. Non serve fare il gendarme, il poliziotto, serve riuscire a comunicare, comunicando anche le ansie materne.

La famiglia è stata giudicata in vario modo nel corso degli ultimi anni, demonizzata o santificata. Lei come la definirebbe?

Ho scritto Lettera alla tua famiglia, e sottolineo “tua” perché ogni famiglia ha delle caratteristiche a sé. La famiglia è un gruppo di persone che abitano in uno stesso luogo. Un gruppo non casuale, perché legato a dei progetti, con dei contratti che sono di tipo amministrativo o di tipo religioso o di altro tipo. È un gruppo e far funzionare un gruppo è come far suonare una piccola orchestra, un trio d’archi, un quartetto… Si deve guardare non al risultato del singolo, del padre, del figlio o della madre, ma dell’insieme che deve essere ben affiatato e per capire se funziona lo si sente: dall’orchestra esce buona musica e per buona musica in questo caso si intende la serenità. Questo risultato dovrebbe essere una cosa che il gruppo difende. 
Però, come ogni gruppo, potrebbe non funzionare affatto e basta che si perda la visione dell’insieme e invece ci sia un padre che abbia bisogno di affermare la sua supremazia, una madre la propria autorità e un figlio magari la voglia di essere contro entrambi che allora la famiglia diventa un gruppo stonato. E questo anche se, presi singolarmente, i vari membri sembrano a posto, sono dei solisti buoni, ma la musica d’insieme è terribile. La famiglia non va definita in termini assoluti: la famiglia è la salvezza, la famiglia è la dannazione. La famiglia semplicemente può funzionare o no. Bisogna valutare bene quali sono i criteri perché quel gruppo possa dare il meglio. Ci sono delle situazioni in cui dà sicurezza e serenità, soprattutto in una società che è complessa e che crea molti problemi. Insomma può diventare un nido, secondo l’allegoria romantica, ma anche un ring dove la gente si fa del male. 

Tante delle violenze subite dalle donne avvengono all’interno della famiglia. Questo è un dato preoccupante. Perché la famiglia, il marito, il compagno, il padre si trasformano a un certo punto nell’orco?

C’è un punto molto chiaro. Quando uno entra in famiglia (il marito, ma anche i figli, perché ci sono figli violenti, o la madre), è come se non attivasse più i freni inibitori. Nella società e sul posto di lavoro bisogna mantenere un certo decoro, anche nell’abbigliamento, non si possono dire certe parole in pubblico, al superiore o al capo non si può esprimere tutto quello che si pensa, insomma la nostra vita è un continuo attivare dei freni inibitori: “questo vorrei farlo, ma non lo faccio…” 
Quando si arriva a casa invece si ritiene che in quell’ambiente non si debbano più usare tali freni, e si crede che lì sia possibile tutto. E si incomincia ad esempio dal rito che appena entrati in casa ci si va a togliere il vestito che si portava perché lì non è necessario, ci si toglie la cravatta, le scarpe… e in questo gesto ci si toglie anche ogni formalità, ogni controllo. Quindi la casa diventa il luogo in cui si riversano e si liberano tutte le frustrazioni e tutta la violenza che magari si è accumulata fuori. Qui si pensa che sia possibile sfogare tutto e rappresenta quasi un diritto alla liberazione. Questo per quanto riguarda l’atmosfera generale. 
Per quanto riguarda le donne so che non vogliono sentire consigli dagli uomini, so che cos’è stato il femminismo perché ne sono stato un testimone, e forse sarebbe meglio che tacessi, ma penso che invece sia necessario dire qualcosa. Devo dire che bisognerebbe che tutte le donne di fronte al primo atto di violenza, al primo!, non lo accettino, perché se si tollera il primo è finita: devono andare a denunciare la cosa, si può andare dai carabinieri o aprire la finestra e urlare, dire: Vergognati di fronte a tutti perché mi hai picchiato! 
Questa non è solo una difesa della donna, ma anche l’unica maniera per impedire che quell’uomo diventi una bestia. Quello che a me pare invece è che nelle donne oggi non sia più così attiva la voglia di difendere la propria dignità e lo vedo ad esempio per come è tornato il corpo femminile ad essere banalizzato o strumentalizzato in televisione e nella pubblicità. Recentemente si è letto di una donna che vuole diventare senatrice in un paese europeo e offre prestazioni sessuali per avere voti…Dov’è la donna dei diritti? Sono molto preoccupato, mi sembra che la donna stia ridiventando ancora più un oggetto.

Perché in Italia si fanno pochi figli e quando se ne fanno li si tengono in casa oltre i trent’anni?

Il problema delle nascite: oggi c’è una grande paura del figlio. È stata proprio una cultura che, a partire da noi psichiatri, psicologi, psico qualcosa, ha spaventato: e c’è il trauma del  parto, e c’è il problema se veramente nasce poi nella perfetta capacità fisica e mentale, e poi chissà se una sa fare la mamma che è difficilissimo, e poi i figli fanno paura e poi non c’è lavoro… insomma abbiamo creato una condizione drammatica che in parte è vera perché bisognerebbe dare un vero aiuto alle famiglie. Nella mia famiglia ci sono stati degli insegnanti e se penso che gli insegnanti oggi fanno parte della classe dei nuovi poveri, resto allibito. Com’è possibile che anche persone che vorrebbero aver figli mettano al mondo dei bambini che poi non sono aiutati ad allevare? Però al di là di una condizione reale c’è proprio spavento. Si pensi alla gravidanza: esistono almeno centoventi test da fare in gravidanza per dimostrare che la madre sta bene e che il bambino è sano. Non è più considerata una straordinaria esperienza, un’avventura, ma una grave malattia.

E perché poi i ragazzi non escono più di casa? È colpa delle madri?
Non è questo il punto. Il primo elemento riguarda il protagonismo del mondo dei ragazzi, dei giovani. La nostra è una società che fa fatica a passare il testimone e allora spesso il padre preferisce mantenere fino a tarda età il proprio ruolo non dandolo al figlio. Naturalmente quello che avviene in una casa, avviene anche nella società. Non si rendono conto della sciocchezza di voler spostare sempre più in là l’età per andare a riposo: questo vuol dire che i giovani entrano sempre più tardi nel mondo del lavoro e non è possibile non creare posti di lavoro per i giovani. E poi la manodopera giovanile costa pochissimo: ci sono dei ragazzi laureati che vanno a lavorare per 5 o 6 euro all’ora! C’è un vero sfruttamento del giovane. E questo che cosa significa? Significa semplicemente questo: la nostra è una società che non crede al protagonismo dei giovani, una società vecchia, una società orrenda che pensa che i giovani debbano essere tenuti in casa a non far niente per permettere ai padri di continuare a fare i protagonisti anche quando sono rimbecilliti.

Due parole di consolazione e di stimolo ai ragazzi che non osano  uscire di casa.

Ci sono dei ragazzi che a trent’anni sono degli adolescenti che non hanno mai guadagnato, che vivono ancora della mancia domenicale, che usano ancora la macchina del papà e che, se cercano un appartamento non lo trovano, e allora meglio stare a casa con i genitori. Per quanto non sia piacevole è infinitamente meglio di quella che uno sarebbe in grado di trovare. E quindi non sono i giovani che vorrebbero andare fuori e le madri non li lasciano andare: si è creata una situazione per cui la famiglia d’origine è diventato un carcere dorato, perché per fortuna le case dei genitori sono per lo più gradevoli, il 75% sono di proprietà e quindi le si curano.  Sono accoglienti e belle e l’alternativa è andare a trovare da qualche parte un buco che costa comunque molto. Poi ci sono anche le patologie, c’è il mammismo, c’è chi non si sa staccare dalla madre, però questa è patologia e quindi sono casi che vanno curati, ma il clima generale è appunto quello di una società che non crede assolutamente nel protagonismo dei giovani e questa è una vergogna.

Si parla tanto di famiglia in questo periodo.

Sì ma è una specie di orazione che cade nel nulla. La famiglia di per sé non è né un gran bene né un gran male, dipende da come funziona e da come la si aiuta perché nell’insieme possa creare quella piccola orchestra di cui si parlava. 

A lezione da Paolo Crepet

INCONTRO CON IL PROFESSORE PAOLO CREPET(Psicologo, psichiatra e scrittore)

 (appunti  non rivisti dal relatore)

Teatro Apollonio di Varese, 25 Novembre 2009, ore 20.45.
La sala è piuttosto affollata, ci saranno più o meno 600 persone… Sono tutti in attesa di incontrare lo psichiatra, professor Paolo Crepet, per iniziare insieme a lui il VIAGGIO NELLA FAMIGLIA ITALIANA.
Il professor Crepet sale sul palco e il “viaggio” ha inizio…

Crepet esordisce dicendo che una volta educare era una sfida allo stesso tempo drammatica e semplice: drammatica, per la drammaticità della vita, dovuta alle guerre, alle malattie, all’elevata mortalità infantile; semplice, per l’essenzialità stessa della vita, priva delle tecnologie odierne. Poi è arrivato il cambiamento della società, un cambiamento antropologico. I nostri nonni tornavano a casa e trovavano una tribù ad aspettarli (genitori, fratelli, cugini, nonni, zii). Quando si era in tanti, l’educazione avveniva tra pari (fratelli e cugini), mentre i genitori sovraintendevano. Cortile, campo da calcio, parrocchia erano i luoghi dell’educazione. L’educazione è stata oggi sostituita da uno schermo in camera da letto, nemmeno più in salotto. Un tempo, il salotto era l’agorà, la piazza della famiglia, con il rito dello stare insieme, del guardare la tv insieme e del parlare. E’ vero, però, che oggi, rispetto ad allora, c’è maggiore complicità tra genitori e figli, c’è più confidenza. Ma siamo certi che questo sia un bene? Non è che l’agio ha comportato anche il disagio?
Oggi, due parole molto importanti sono scomparse dal vocabolario dell’educazione: DOLORE e FATICA. Tuteliamo i figli da tutto. Se dovessimo costringere per un giorno i nostri ragazzi a indossare i pantaloni corti, noteremmo che non esiste più un ginocchio sbucciato. Conseguenza: quella di oggi è una generazione FRAGILE. Ed è colpa nostra. I dolori che non si hanno da piccoli faranno soffrire da grandi. Meglio sbucciarsi le ginocchia a 8 anni che a 48!
Una volta non c’erano i cellulari e i figli andavano lontano da casa e non erano raggiungibili dai genitori (meno male!) e si dovevano arrangiare. Così diventavano grandi.

Crepet racconta di una scuola, da lui visitata, in cui la mensa era vuota. Alla sua domanda se non funzionasse e come mai nessuno stesse preparando il pranzo, gli venne risposto che erano i bambini a farlo. Grande cosa! E aggiunge: “Lasciar cucinare le patate a tuo figlio di 6 anni lo aiuta a crescere e a costruirsi la propria autostima”. Perché dobbiamo crescere i bambini nella sicurezza, nella pulizia, nell’ordine? Che mangino la terra e la polvere del pavimento: si formeranno gli anticorpi e cresceranno adulti forti e sani! Perché comprare i paraspigoli? Lasciamo che cadano e pestino la testa: un bernoccolo non ha mai ucciso nessuno! Anzi, i nostri figli capiranno che cos’è il dolore e cosa lo provoca, ma se noi li preserviamo da tutto, che adulti saranno un domani? Avranno paura della propria ombra! Ci vuole la febbre, fa bene! Ci vogliono i 4 in italiano e in matematica: rafforzano e stimolano a fare meglio! E’ lì che si vede il carattere dell’individuo: se, di fronte alla sconfitta, si lascia andare e retrocede o si arrende, sarà un debole; se invece reagisce, cade e si risolleva, sarà un forte, un vincente nella vita! E l’educatore che cosa deve fare? STARE AD OSSERVARE. Osservare. Intervenire solo quando vede che il ragazzo, da solo, non ce la fa e va verso l’annichilimento. Ma guai a correre subito in suo soccorso! Non sostituiamoci ai nostri figli: lasciamo che vivano da soli le loro emozioni! Prima imparano le emozioni e meglio è.

Crepet parla delle relazioni tra le persone, delle amicizie. Oggi c’è facebook e i nostri figli pensano di avere 380 amici e ne vanno fieri. Lui dice di averne solo due, ma, se sta male alle 3 di notte e li chiama, può star certo che prenderanno subito un taxi, per correre da lui. “Ditelo su facebook che state male! Quanti arriveranno di quei 380?”

Il fatto di correre sempre in aiuto dei figli, di fare le cose per loro (anche i compiti, sì, come molte mamme fanno! Ma che li facciano da soli! Non è roba che ci interessa, che ci riguarda! Non è la nostra vita, è la loro!), di sostituirci a loro nella soluzione dei problemi (oggi i ragazzi non sanno nemmeno fare benzina al motorino, perché gliela fa papà, non sanno andare a pagare una bolletta in posta, perché ci va la mamma!), rende loro la vita FACILE: per loro non c’è più nemmeno il gusto della CONQUISTA.
SE NOI PERMETTIAMO TUTTO, SVALUTIAMO TUTTO E UCCIDIAMO IL DESIDERIO. DOBBIAMO AVERE IL CORAGGIO DI TOGLIERE AI NOSTRI FIGLI, NON DI DARE!!! Perché dobbiamo pensare sempre noi a loro? Lo dice la Costituzione? No!
I nostri figli possono svegliarsi da soli, alla mattina, per andare a scuola! Perché dobbiamo farlo noi? Non hanno una sveglia? Che la puntino! Perché dobbiamo preparare loro la colazione? Che se la preparino! Perché dobbiamo accompagnarli a scuola in auto? Che prendano l’autobus! L’autobus, il mezzo sul quale incontreranno altri amici con cui parlare e confrontarsi e socializzare; l’autobus, sul quale incroceranno lo sguardo di un ragazzo o di una ragazza e comincerà loro a palpitare il cuore e inizieranno a  vivere di attese e speranze (mi parlerà, mi saluterà, gli/le piacerò?…). LASCIAMO CHE I NOSTRI FIGLI SBAGLINO: LA CRESCITA E’ FATTA DI TENTATIVI ED ERRORI! Non dobbiamo spianargli noi la vita e rendergli tutto facile! Che si ingegnino  a risolvere i problemi!
Altra cosa importante: BISOGNA INSEGNARE AI BAMBINI A STARE DA SOLI. La solitudine aiuta a pensare e se penso sono (cogito ergo sum). I nostri figli, oggi, non pensano, FANNO. E fanno tante di quelle cose, che non hanno mai il tempo di pensare. Se ci sostituiamo a loro in ogni cosa e non gli diamo nemmeno il tempo per pensare, come faranno a voler diventare se stessi? “Se cominci a voler diventare te stesso a 20 anni, non ce la farai mai. Se inizi a 5, puoi farcela!”. E non inseriamo i nostri figli dentro a rigidi schemi: apprezziamo la loro originalità.
Crepet fa l’esempio dei bambini in età della scuola dell’infanzia, quando la maestra, a scuola, e la mamma, a casa, gli sottopongono un disegno bell’e che confezionato, con i bordi tracciati e i colori che noi gli diamo, non tutti i colori, tra i quali lui può scegliere, ma 4. Deve colorare Paperino: becco giallo, piume bianche, giacca blu… E se nostro figlio colora come tutti gli altri, il becco giallo, le penne bianche e la giacca blu, allora siamo soddisfatti e pensiamo “Meno male, ho un figlio normale!”. Ma perché, invece, non lo lasciamo libero di esprimere la propria creatività? Che colori il becco di viola! Altro esempio che riporta è quello di una visita di una scolaresca ad una  mostra di arte contemporanea: quadri tutti uguali, sculture tutte uguali. Ma… una scultura diversa da tutte le altre: un albero giallo in mezzo alla sala. Ed ecco che un alunno si allontana dal gruppo, attratto da quell’albero. Ha colto la diversità. Ma, no! Ecco che l’insegnante lo riprende e lo costringe a tornare in fila con i compagni ad osservare le altre cose: ha ucciso la sua curiosità, non ha capito che quello era l’unico alunno che aveva colto l’importanza di essere se stesso e di volere uscire dal coro.
Ricordiamoci che ogni bambino ha un TALENTO e che il nostro compito è di saperlo TIRAR FUORI. E’ così che educhiamo. Diversamente, istruiamo, mettiamo dentro qualcosa che viene da noi e che non esce da lui.  Lasciamoci STUPIRE  dai nostri ragazzi! E cerchiamo di non essere amici dei figli, ma genitori, che danno regole e che sono punto di riferimento nelle difficoltà della vita! Una figlia non vuole una mamma ragazza, ma vuole una mamma DONNA, che sappia sostenerla. Lo stesso dicasi per il figlio e per il padre. Nell’educazione ci vuole un papà, un CAPITANO, CI VOGLIONO LE REGOLE E IL RISPETTO, PERCHE’ IO GENITORE CONTO PIU’ DI MIO FIGLIO! E LE REGOLE NON VANNO DISCUSSE: VANNO FATTE ESEGUIRE. “Ma ve lo vedete un capitano di una nave che, di fronte ad una tempesta, convoca la ciurma e persino il cuoco e chiede ad ognuno di loro: tu cosa faresti adesso? Chi mai si affiderebbe a quel capitano?” A CHE SCOPO DARE LA LIBERTA’ A CHI NON SA NIENTE DELLA VITA? Tuo figlio ti chiede di tornare alle 5 del mattino? NO. La risposta è NO. Ma i suoi amici lo fanno? TU NO! Perché? Perché lo dico io che sono tuo padre. E non si discute! E non compriamo i figli col denaro! Crepet riporta l’esempio di un padre che ha regalato il motorino al figlio perché promosso agli esami di riparazione. Assurdo! Pazzesco! Sei stato promosso? HAI FATTO IL TUO DOVERE! Dove sta scritto che io ti devo qualcosa?
Non diamo tutto ai nostri figli! SE UNO HA TUTTO, NON HA PIU’ DESIDERI, QUINDI NON HA PIU’ PASSIONI, QUINDI NON HA PROGETTUALITA’.
E non teniamo i figli presso di noi! Quello è puro egoismo genitoriale, siamo noi che abbiamo paura del nido vuoto. Lasciamoli liberi  di andare per il Mondo. Torneranno.

In una scuola superiore, alla domanda rivolta da Crepet a dei ragazzi, su cosa serva per avere successo nella vita, la risposta è stata: soldi, fortuna, raccomandazioni. E Crepet ammonisce che non sono parole loro, ma degli adulti che ci stanno dietro! Siamo noi ad insegnare queste stupidaggini ai figli! Insegniamo, invece, che PER AVERE SUCCESSO NELLA VITA CI VUOLE TALENTO e che IL TALENTO AL 98% E’ FRUTTO DEL SUDORE. DISCIPLINA: questa è la parola chiave. E’ da lì che esce il talento. I 4 a scuola servono, perché fanno capire i nostri limiti e fanno capire che la vita non è dei furbi, come si crede. La VITA E’ UNA MARATONA e ogni cosa va sudata, conquistata con fatica.
Crepet suggerisce di scrivere a caratteri cubitali una frase da appendere nella stanza dei nostri figli: TUTTO CIO’ CHE E’ COMODO E’ STUPIDO.

Se c’è una cosa sana nella vita è INSEGUIRE I PROPRI SOGNI, RINCORRERE LE PROPRIE PASSIONI!!! NON ACCONTENTIAMOCI DELLA MEDIOCRITA’. RENDIAMO LA NOSTRA VITA STRAORDINARIA, come diceva il professor Kitting nell’Attimo Fuggente. E’ meglio un ignorante appassionato che un colto indifferente. Non andiamo mai al di sotto del livello della passione.

Due consigli:

q       ABBIATE FAME = bisogna morire curiosi

q       SCHIENA DRITTA E FRONTE ALTA = siate liberi, fate ciò in cui credete!

Il mondo va avanti grazie alle persone sensibili. Sono loro quelle che hanno creatività e capacità inventiva.

Nel parlare del rapporto genitori/figli, Crepet affronta la questione “liti”. Si litiga in ogni famiglia ed è “bello” e importante litigare, perché genitori e figli si CONFRONTANO. Guai se non litigassero! Vorrebbe dire che i figli la pensano come i genitori o, peggio ancora, che i genitori la pensano come i figli. Ma è giusto che si abbiano opinioni divergenti, perché si appartiene a fasce diverse di età, con diverse visioni della vita, diverse necessità, diversi ideali.

Ma non è solo la famiglia che educa: anche la scuola è chiamata a farlo. Perché allora non educare alla passione anche a scuola? Un insegnante che insegna con passione trasmette passione ai suoi alunni e li fa crescere. Dobbiamo innamorarci di quello che facciamo e trasmettere agli altri il nostro amore per le cose in cui crediamo. Prendiamo un docente di lettere. Dovrebbe entrare in classe e leggere appassionatamente una poesia del suo autore preferito, dovrebbe leggerla emozionandosi, poi dovrebbe alzare la manica e mostrare ai suoi alunni la pelle d’oca, l’emozione. E perché non inserire tra le materie scolastiche 1 ora alla settimana di silenzio e meditazione? Aiuterebbe i ragazzi ad entrare in contatto col proprio io, a vedere le cose, a sentirle come mai le si sono viste e sentite prima.
Perché le riforme scolastiche effettuano tagli, anziché ampliare l’orario? I ragazzi dovrebbero stare a scuola tutti i giorni dal mattino alle 8 al pomeriggio alle 17! Perché stare a scuola aiuta a confrontarsi, a non isolarsi, a non chiudersi nella propria stanza, a non entrare in facebook. Se io alunno ho un problema e resto a scuola, posso trovare altri alunni che hanno un problema simile al mio e parlarne con loro, posso trovare un insegnante disposto ad ascoltarmi, perché io adolescente ho bisogno di adulti di riferimento che non siano i miei genitori! Adulti postivi, figure di educatori, che sappiano ascoltare, ispirare fiducia.
Crepet è favorevole alla mensa quotidiana a scuola: è un momento di socializzazione e confronto importantissimo! Qui posso scoprire che quell’insegnante che in classe sembra severo, non lo è poi così tanto e magari mi rivolge un sorriso o uno sguardo che mi fa capire che io esisto per lui. E potrei aprirmi e parlare di me, dei miei problemi.

Genitori e insegnanti possono e devono essere una guida fondamentale nella vita dei ragazzi e, per esserlo, devono impartire 4 o 5 regole. Solo quelle bastano. L’educatore è un ISTRUTTORE DI VOLO: da le regole e i suoi ragazzi prenderanno il volo da soli e lui sa che ce la faranno. E non abbiamo paura di lasciar volare via i nostri ragazzi verso la loro vita. “ABBIATE CORAGGIO, non abbiate PAURA!”
Noi, genitori e insegnanti, siamo i CAPITANI  dei nostri ragazzi, perché siamo la loro guida, li osserviamo, li lasciamo cadere e aspettiamo che si rialzino da soli, perché non vogliamo privarli della gioia di farcela. Capitano, mio Capitano… (L’Attimo Fuggente).
Tutto quello che dobbiamo sperare è che i nostri ragazzi siano MIGLIORI DI NOI.

Sapremo se avremo avuto successo nel nostro compito educativo come genitori o avremo fallito, solo nell’ultimo giorno. Se quel giorno avremo qualcuno a tenerci la mano e ad accarezzarci la fronte, vorrà dire che siamo stati buoni genitori; se, invece di essere lì con noi, i nostri figli saranno davanti a un notaio a litigare per l’eredità… allora avremo fallito.

Libri consigliati

Cari genitori,

vi segnalo un elenco di libri che potrebbero essere molto utili nel difficile compito di educare i figli.

Autore Titolo

Capricci

Gordon Genitori efficaci
Lucia Rizzi Fate i bravi

Lo studio

Pietro Lombardo La gioia di studiare

Le regole

Richard Templar Le regole per i genitori
Illsley J. Clarke; Bredehoft David; Dawson Connie Digli di no, fallo per lui. Perché divieti e regole sono necessari ai nostri figli
Asha philips I no che aiutano a crescere
Scalari I si e i no-concedere o proibire
Pedra Stamer-Brandt

 

Vittorino Andreoli

La regola vale: 55 suggerimenti…per aiutare i bambini ad apprendere le regole

La Vita digitale

Autonomia

Aletha Solter Il bambino consapevole
Ruggiero  Russo Faccio io

Proiezione del film “La scuola”

In un istituto scolastico della periferia romana le cose vanno decisamente più che male: per fatiscenza è caduto il soffitto della biblioteca e la scomparsa della professoressa Serino (ormai vicinissima al collocamento in pensione) fa pensare al peggio. I professori sembrano in stato di permanente fibrillazione, tra meschinità, pettegolezzi e, soprattutto, a causa dell’orario delle lezioni (vera difficoltà per i docenti condizionati da problemi di famiglia). Essi appaiono in maggioranza demotivati, se non ignoranti. Il preside è una nullità, il suo vice, Sperone, troppo rigido, più preoccupato del futuro collocamento dei ragazzi sul mercato del lavoro che non della loro formazione culturale ed umana. Fa eccezione Vivaldi, persona paziente ed idealista, molto sensibile alle difficoltà familiari e caratteriali dei suoi allievi (è il caso dell’allievo Cardini, quasi eternamente assente, la cui bravura in classe è quella di imitare alla perfezione il ronzio di una mosca) e la professoressa Majello, bella e dolce, al centro delle allusioni e dei pettegolezzi delle colleghe (è in crisi matrimoniale e le si attribuisce come amante il brusco Sperone, mentre lei è segretamente innamorata di Vivaldi, che neppure lo immagina, anche se lo spera). Anche una gita scolastica a Verona (finita con un pigiama-party dei docenti) nulla risolve fra i due. Il “clou” si manifesta al momento degli scrutini, dove tutte le insufficienze e carenze generali vengono palesate e, tra compromessi – caldeggiati dal preside – e voti mutati per pietismo, tutta la classe ottiene la promozione, ad eccezione di Cardini (pare abbia sottratto una telecamera dell’Istituto, il che poi risulterà non vero). L’anziana ed un po’ svampita professoressa Serino ricompare (dimenticatasi della data degli scrutini, si era assentata senza avvertire nessuno). Vivaldi ha capito che la gentile Majello era innamorata di lui, ma lei rimane con marito e figlia, per cui ogni tardiva illusione cade nel nulla. Nell’edificio scolastico ormai vuoto sembra ancora sentirsi il ronzio e i voli della mosca imitati da Cardini.

I no che aiutano a crescere

Vi proopongo una bella riflessione trovata nella rete. L’autore è uno psicologo.

Dopo la discussione durante il laboratorio, scrivete i vostri pensieri a commento del presente post.

Le trasformazioni culturali che hanno segnato la società occidentale negli ultimi 60 anni hanno portato con sé significativi cambiamenti anche nelle dinamiche presenti in famiglia. In passato non vi era dubbio su chi “portasse i pantaloni” ovvero chi comandasse e detenesse il potere educativo: il padre.
Vi era una gerarchia ai cui vertici stavano i genitori, talvolta alcuni nonni e ai “piani inferiori” i figli. Si trattava talvolta di schemi rigidi, scarsamente negoziabili, restii a novità che comportassero la messa in discussione dei ruoli.

Oggi non siamo più sicuri di poter sostenere questa tesi. I ruoli e le gerarchie non solo si son fatte più flessibili ma talvolta addirittura liquide o ribaltate. È sotto gli occhi di tutti il potere che i figli hanno conquistato negli ultimi tempi. Conquiste civili per lo più ma che hanno portato con sé anche degli effetti collaterali.

Accade sempre più di osservare dinamiche familiari in cui bimbi e adolescenti dominano le scene della quotidianità domestica. Figli sempre più insofferenti nei riguardi dei genitori o degli agenti educativi (ad esempio la scuola) e dei loro incipit pedagogici. Genitori in balìa delle richieste economiche dei figli o incapaci di porre limiti agli slanci di autonomia dei ragazzi neo-adolescenti. Genitori sofferenti all’idea di vedere frustrato il figlio da un proprio incipit educativo. Genitori confusi e figli apparentemente dominatori ma forse altrettanto confusi.

Volendo individuare alcuni fattori che favoriscano e mantengano queste problematiche si può affermare che vi sia una lacuna nel ruolo di timoniere da parte dei genitori. È come se essi avessero smarrito la bussola che porta alla emancipazione del ragazzo verso il traguardo del divenire adulto. Non sanno che pesci pigliare, sembra che la funzione educativa abbia perso di prospettiva schiacciandosi su scelte aventi valenza nel breve ma non sul lungo termine. Vi è stato un passaggio dalla autorità educativa alla dittatura filiale, da una verticalità eccessiva dei ruoli ad un appiattimento in cui più che di genitori e figli si potrebbe parlare di compagni o amici.

Cosa comporta in termini pratici questa situazione? Beh, sicuramente possiamo ritrovarci in situazioni caotiche con genitori letteralmente sopraffatti da bambini prima, adolescenti e adulti dopo. I fatti di cronaca iniziano a raccontare di genitori talvolta malmenati dai propri figli le cui richieste sono nei fatti passate dalle caramelle, ai giocattoli, alle console, ai cellulari, ai computer, ai motorini, ai vestiti griffati, alle macchine, a uscite senza orari di rientro, in un turbinio di richieste impossibilitate ad esaurirsi. Casi estremi sicuramente ma esemplificativi nel restituirci l’attuale quadro di una certa realtà educativa.

Anche l’esperienza clinica racconta di adulti aggressivi nei confronti dei genitori nonostante questi si siano sempre prodigati nel soddisfare qualsivoglia richiesta filiale.

A tal proposito, vorrei raccontare la storia di Sergio: figlio unico, adolescente, era divenuto il tiranno incontrastato della casa. Avanzava richieste economiche sempre maggiori. Perennemente insoddisfatto, chiedeva ai genitori il gadget di moda in quel momento nonostante il denaro in casa scarseggiasse. I genitori nonostante le forti litigate col ragazzo cedevano stremati alle richieste del figlio. Una volta ottenuto quanto preteso, Sergio non appariva poi troppo soddisfatto. Passato qualche giorno ventilava l’idea di rivendere il gadget per comprarsene un altro. Riproponeva allora una nuova escalation di pretese che dopo nuovi litigi portava all’acquisto di un nuovo oggetto. Questa dinamica accompagnava le vicende familiari da diversi anni. Nata con la richiesta di alcuni giocattoli si era trasformata progressivamente in un crescendo di richieste sempre più esose.

Per comprendere meglio cosa avesse potuto favorire e mantenere tale situazione bisogna volgere uno sguardo ai vissuti che accompagnavano i genitori nelle scelte educative. Il papà di Sergio, orfano da bambino, proveniva da una istituzionalizzazione molto dura fatta di vissuti di deprivazione significativi.

Con la nascita del figlio si ripromette di non fargli rivivere quanto occorsogli. Decide di tutelare il figlio da qualsiasi minaccia o sofferenza. Ad esempio, quando passa l’autoambulanza a sirene spiegate tappa le orecchie al figlioletto. Vuole che Sergio abbia soddisfazioni che lui non ha avuto. La mamma possiede un background culturale in cui la povertà viene esorcizzata con una siluette corpulenta e il possesso di gadget tecnologici o capi firmati.

Date queste premesse si è venuta a creare una dinamica in cui era importante soddisfare le richieste del figlio, vuoi perché lo si voleva tutelare dalla sofferenza vuoi perché in fondo un capriccio per un capo firmato non era poi così incomprensibile. Quando poi le richieste hanno assunto un carattere via via simil-estorsivo i genitori hanno cercato di rimediare ma i limiti che cercavano di porre si scontravano inconsapevolmente con i propri vissuti personali.

Ma perché le richieste seppur esaudite non generavano nel ragazzo soddisfazione e quiete? Io credo che una siffatta dinamica in cui a richiesta seguiva immediata soddisfazione, priva di criticismo circa la reale utilità o necessità del bene richiesto, abbia impedito al ragazzo di sviluppare delle abilità di autoregolazione interna.

Alla stragrande maggioranza di noi sarà capitato che quando eravamo piccoli e avanzavamo una richiesta i nostri genitori ci rimandavano alla letterina di babbo natale o al prossimo compleanno. Ci richiedevano inoltre di fare i buoni o ottenere dei risultati scolastici dignitosi quale condizione per poter esaudire la nostra richiesta. La cosa interessante è che il tempo trascorso tra la richiesta del giocattolo e il suo ricevimento era fatta di fantasie e immagini in cui eravamo immersi nel gioco con l’agognato bene.
Accadeva che investissimo l’oggetto di desiderio e valore, aumentato anche dalla fatica di dover fare gli ubbidienti o i bravi a scuola per poterlo “meritare“. Arrivato il momento dell’apertura del dono, l’emozione era forte. Lo tenevamo stretto a noi, ne eravamo bonariamente gelosi.
Il fattore tempo era importante affinché sviluppassimo una rappresentazione mentale di ciò che effettivamente desideravamo o meno. Accadeva talvolta di capire che non era un certo oggetto ma un altro ciò che in realtà ci interessava.

Ciò accadeva perché avevamo il tempo di rappresentarcene mentalmente l’utilità o meno del gioco. Imparavamo a capire ciò che era desiderato perché figlio dell’impulso momentaneo e ciò che effettivamente faceva al caso nostro.
Sapevamo inoltre che i nostri genitori avrebbero realizzato un nostro particolare desiderio ma sicuramente non tutti quelli che ci passavano per la testa. Avevamo un senso del limite che in Sergio non vi era perché non “allenato“. Avevamo un desiderio ma non un bisogno. Sergio avvertiva tutto ciò quale bisogno da colmare, e infatti una volta ottenuto il bene non si sentiva soddisfatto. Il desiderio arricchisce, il bisogno colma.

Ritornando alla condotta educativa adottata dai genitori di Sergio si nota come essa fosse fondamentalmente improntata all’evitare disagio emotivo al proprio figlio. Modalità forse vincente in prima battuta ma che peccava di lungimiranza. Mancava il “No” quale strumento che pone limiti rispetto alle pretese del figlio o che ribadiscono la “gerarchia familiare“. Sergio affermava con spensieratezza la consapevolezza di essere lui a comandare in casa.

Se vogliamo accennare ad uno dei principali cambiamenti nello stile educativo genitoriale odierno esso ha a che fare con l’impiego del “No. Il timore di vedere il proprio figlio piangere per una decisione che contrasta i suoi desideri manda in confusione l’adulto. Accade che i genitori confessino il timore di veder diminuito l’amore del proprio figlio a seguito di decisioni ferme. Ciò li spinge a rimodulare le loro posizioni in termini permissivi.

Chi scrive non è a favore di metodi detti “da caserma“. Credo piuttosto che uno stile autorevole riesca a racchiudere in sé i pregi dello stile permissivo e di quello autoritario: apertura al dialogo ma con la consapevolezza di rivestire un ruolo educativo che non deve scadere nel “genitore-amico. Sono per primi i ragazzi a richiedere una “guida“. Tale funzione la si assolve mantenendo certi ruoli saldi e le orecchie aperte all’ascolto attivo delle opinioni del proprio figlio.

A tal proposito, rimando alla preziosa lettura dei libri di Strocchi e Phillips indicati a fondo del presente articolo. Con linguaggio chiaro e ricco di esempi ripercorrono e approfondiscono alcuni dei punti toccati in questo brano.
I ragazzi stessi sono continuamente alla ricerca di “limiti” alle proprie azioni. Gli servono per capire fin dove si possono spingere per perseguire i propri obiettivi e dove fermarsi. Tale acquisizione passa oggi attraverso il rapporto educativo con i genitori, domani attraverso un processo di autoregolazione. In tal senso i genitori rappresentano una palestra educativa dove apprendere il ruolo da adulto del domani!

In virtù di questa ultima considerazione appare evidente l’importanza di rivestire un ruolo chiaro, solido, coerente per il benessere del proprio figlio. Un figlio che avanza richieste continue è un figlio che per primo non è in piena armonia con sé stesso ed è un figlio che richiede la decisa presenza dei propri genitori.

Un “no” che sia ragionevole, chiaro e che sia accompagnato da coerenza e lungimiranza educativa ripaga alla lunga di quei momenti in cui il pianto del proprio ragazzo o le male parole che lo accompagnano ci feriscono e ci chiudono lo stomaco.
Quante volte ripercorrendo la nostra infanzia ripensiamo alle scelte educative che i nostri genitori prendevano per noi e ai pianti e alle arrabbiature che ne conseguivano? Quante volte a questo ricordo si accompagna: “ora capisco perché lo facevano e li ringrazio per questo!“?

Sospeso l’incontro del 13 Aprile 2012

 

Salve a tutti.

Vi comunico che l’incontro fissato per il 13 aprile è sospeso.

Ci vedremo quindi martedi 17 alle ore 16,30, vi confermo inoltre la data del 18 Aprile con il prosieguo del laboratorio e quella del 19 Aprile con il dottor Costanzo.

Vi prego anche di passare parola tra i compagni di corso.

Grazie mille e scusate l’imprevisto.

A presto.

Michelina S.

“Caterina va in città”

Oggi assisteremo alla visione del film “Caterina va in città”.

Caterina è una timida adolescente che, con il padre Giancarlo e la madre Agata, si trasferisce da un piccolo paese della costa tirrenica (Montalto di Castro) a Roma. Qui frequenta la terza media nella scuola che il padre frequentò 30 anni prima. La classe dove viene inserita è spaccata a metà: da una parte ragazzi che simpatizzano per l’estrema sinistra, capeggiati da Margherita, dall’altra un gruppo di ragazze che simpatizzano per la destra, che hanno come leader Daniela, figlia di un parlamentare italiano di Alleanza Nazionale. Caterina viene a contatto con delle ideologie che prima non aveva neppure sentito nominare. Inizialmente vive una forte amicizia con Margherita, che termina quando il padre le scopre a ubriacarsi e farsi tatuaggi. Poi, dopo un periodo di smarrimento, Caterina, quasi senza accorgersene, passa nel mondo di Daniela, il mondo delle feste e del lusso. Ci sono anche i primi amori per Caterina: prima un cugino snob di Daniela, poi Edward, un ragazzo australiano che abita nell’appartamento davanti al suo. Caterina rompe anche col mondo di Daniela, quando sente lei e le sue amiche che la considerano una sfigata e una all’antica. Dopo una piccola rissa durante l’ora di educazione fisica con Daniela e Margherita, Caterina scappa e viene cercata dalla polizia. Torna spontaneamente a casa, dopo essere stata finalmente a casa del ragazzo australiano. Ma dalla finestra di Edward ha avuto modo di guardare la sua casa e per un attimo è diventata spettatrice della sua vita. E forse è proprio perché ha avuto la possibilità di guardare la sua vita, quello che sono i suoi genitori, quello che sarebbe diventata, che alla fine reagisce a questa terribile omologazione sociale, quasi una predestinazione. Realizza il suo sogno di cantare in un coro, sfugge alle consuete regole della società che impongono l’affermazione sociale, incurante del fatto di dover avere per forza una certa posizione. Lei semplicemente segue la sua attitudine, nella sua ingenuità che l’ha connotata per tutto il film, e che alla fine forse l’ha salvata. Dà così un forte schiaffo morale ad un padre che per tutta la vita ha cercato, annaspando, di avere una posizione dignitosa, ma che alla fine è rimasto inghiottito dai suoi stessi insuccessi e frustrazioni (anche nel privato). Peccato che non abbia potuto vedere la sua Caterina finalmente felice perché fuori dai circoli viziosi della società: non ha fatto in tempo, è andato via con la sua moto, icona di una gioventù e spensieratezza ormai perse per sempre, ha lasciato la famiglia dopo che anche quello che sembrava intoccabile, la dedizione quasi servile della moglie, è stato compromesso, dalla scoperta che la moglie lo tradisce con l’amico d’infanzia. Il film si conclude con il superamento dell’esame di terza media da parte di Caterina, e il coronamento del suo sogno: entrare al conservatorio.

Brani

Cari corsisti,

deposito in questo “nostro” spazio, dei brani che domani commenteremo insieme. Mi sembrano adatti per incominciare a riflettere e a interrogarci sul  nostro modo di essere genitori e  su come ci poniamo nei confronti dei figli.  L’obiettivo è anche quello di suscitare confronto, dialogo e condivisione.

I figli

Promemoria da tuo figlio- Oggetto: me stesso

I diritti dei bambini

Ovviamente potete lasciate i vostri commenti, i vostri dubbi o le vostre riflessioni: ne saremo tutti più arricchiti!

I link utili

Ecco i link che vi aiuteranno ad accedere facilmente nei siti che ci interessano e di cui abbiamo parlato ieri.

Per accedere al sito istituzionale della Piattaforma Pon con username e password personale:

http://oc4jese2.pubblica.istruzione.it/fse/login.do

Per accedere al sito dell’Istituto:

http://www.scuolagimigliano.it/

Per accedere al sito dell’Istituto dedicato al PON:

http://www.scuolagimiglianocicalaponfse.it/

BENVENUTI!!!

Benvenuti nel Blog dedicato ai 20 genitori dell’Istituto Comprensivo di Gimigliano-Cicala che stanno frequentando il modulo di formazione previsto nel Piano Integrato d’Istituto.

Qua raccoglieremo le impressioni e le esperienze di questo percorso. Spero che sia agevole per tutti e che per tutti sia fonte di arricchimento personale.

Buon lavoro!

Michelina Sirianni